La mobilitazione per Gaza unisce persone di età e provenienze diverse. Intercetta tante lotte e una rabbia sociale diffusa.
Sotto al monumento di bronzo dedicato a papa Giovanni Paolo II in piazza dei Cinquecento a Roma, davanti alla stazione Termini, gli attivisti hanno montato un cartello con la scritta: “Piazza Gaza” e la bandiera palestinese.
Poi hanno aperto delle tende colorate sul marciapiede e dei gazebo, dove distribuiscono volantini che spiegano i motivi della protesta. C’è un lenzuolo bianco appeso su un lampione con la scritta in rosso: “Basta morti” e l’appuntamento per la manifestazione nazionale del 4 ottobre a Roma.
Il presidio è stato allestito al termine del corteo del 22 settembre, il giorno in cui in Italia mezzo milione di persone è sceso in piazza durante uno sciopero generale proclamato dai sindacati di base, per chiedere al governo di riconoscere la Palestina, interrompere i rapporti commerciali e diplomatici con Israele, aprire canali umanitari e smettere d’inviare armi a Tel Aviv.
Solo a Roma migliaia di persone hanno partecipato a un corteo partito proprio dal piazzale davanti alla stazione, mentre manifestazioni simili si sono svolte in molte altre città italiane.
“Quel giorno abbiamo deciso di aprire presidi permanenti in cento città per continuare a dimostrare la nostra solidarietà al popolo palestinese e il sostegno alla Global Sumud Flotilla, diretta a Gaza per rompere il blocco navale e portare aiuti umanitari”, spiega Anita Palermo, una studente di scienze politiche di 22 anni, seduta su una sedia di plastica sotto a un gazebo.
“Vengono persone di tutte le età. Ci lasciano soldi, chiedono notizie, ci ringraziano”, racconta.
Mentre parla, arriva un ragazzo in pantaloncini corti e scarpe da ginnastica con in mano un vassoio di pasticcini. Si chiama Fabio, passava davanti al presidio per caso e ha deciso di andare a comprare qualcosa da mangiare per gli attivisti. “Credo che il governo israeliano di Benjamin Netanyahu vada isolato, sta affamando la popolazione di Gaza”, dice prima di sparire tra i passanti.
Dopo un po’ un uomo in giacca e cravatta si ferma a chiedere come può aiutare: “Sono una partita iva, non posso scioperare”.
“Episodi come questo succedono sempre da quando siamo qui”, racconta Palermo, che ha cominciato a fare politica alle superiori con Opposizione Studentesca d’Alternativa (Osa) e ora fa parte di Potere al Popolo. “Sono cresciuta a Genova, una città molto politicizzata, in una famiglia in cui si è sempre parlato di politica. Mia madre è andata alle manifestazioni contro il G8 del 2001, insieme a mia nonna e alla mia bisnonna. Genova è una città medaglia d’oro della resistenza, che nel 1960 ha fatto cadere il governo guidato da Fernando Tambroni perché aveva l’appoggio politico del Movimento sociale italiano e che oggi ha lanciato le grandi proteste per Gaza al grido dei portuali che hanno chiesto di ‘bloccare tutto’. Sa che se il popolo si organizza ha il potere di ottenere quello che vuole”, conclude la ragazza che sottolinea il ruolo delle donne nelle mobilitazioni italiane. Sono alla guida del movimento e sono più attive che in passato: “È un cambiamento dovuto soprattutto al movimento femminista degli ultimi anni e alla trasversalità delle lotte. Le donne sono più discriminate in ogni ambito, pagano sempre un prezzo più alto”.
Una novità del movimento italiano per Gaza è che travalica i confini dell’attivismo tradizionale: non è composto solo da studenti e attivisti, ma è appoggiato anche da persone di solito poco politicizzate.
Lo conferma Paola Palmieri, sindacalista dell’Unione Sindacale di Base (Usb), che ha avuto un ruolo centrale nelle mobilitazioni. “I giorni precedenti allo sciopero abbiamo ricevuto molte chiamate e richieste d’informazioni da persone che volevano partecipare, ma non sapevano come fare”, spiega Palmieri. Secondo lei, molti datori di lavoro, soprattutto nelle grandi aziende, hanno detto ai dipendenti che non potevano scioperare, perché non c’erano rappresentanze dei sindacati che lo avevano convocato. “Il diritto di sciopero è garantito dalla costituzione, significa bloccare la produzione, fermare le attività, ma molti non sanno più come si fa”.
Per Palmieri, dentro alle mobilitazioni per Gaza convergono tante proteste piccole e grandi e una rabbia sociale diffusa.
“L’indignazione per Gaza ha risvegliato dall’immobilismo tante persone che non erano più abituate a pensare che le cose si possano cambiare. Le persone che passano da qui si sentono sole e apprezzano che ci sia qualcuno che dà voce e direzione alle lotte”.
Palmieri, seduta da ore al presidio nella piazza romana, parla di “una moltitudine di istanze”:
“Ci sono i movimenti per l’abitare, perché in questo paese le persone non hanno più soldi per pagare affitti e mutui e contestano l’idea che sia no stati spesi più fondi pubblici per i bonus di ristrutturazione che per costruire case popolari o calmierare gli affitti”.
Poi c’è il mondo del lavoro: “Quello sottopagato e sfruttato, i lavoratori del commercio retribuiti mille euro al mese, le cooperative, il pubblico impiego, i vigili del fuoco”.
Per la sindacalista una delle caratteristiche delle proteste è aggregare generazioni diverse:
“Gli operai e gli studenti marciano insieme. I ragazzi e le ragazze sono più istruiti di come eravamo noi alla loro età, sono preparati, ci stanno insegnando molto”.
Ma, come accadde a Genova nel 2001, anche in questo movimento non ci sono leader. “È un coordinamento, più che un’organizzazione vera e propria”, spiega la sindacalista, secondo cui questa è una forza, ma a lungo andare potrebbe diventare una debolezza.
Attacco alla libertà
Al presidio di piazza dei Cinquecento non sono passati politici né rappresentanti delle istituzioni.
A metà pomeriggio invece arriva in bicicletta Paolo Cergnar, 42 anni, vigile del fuoco che durante il corteo del 22 settembre è salito sul camion dell’Usb in divisa e con in mano la kefiah (il copricapo tradizionale palestinese). “Il mio intervento ha suscitato polemiche, perché ho parlato come vigile del fuoco, oltre che come cittadino. L’ho fatto soprattutto per i miei figli”, racconta, riferendosi alle critiche di alcuni politici. “Ho ricevuto solidarietà trasversale, da destra e da sinistra”, continua. “Noi siamo abituati a tirare fuori le persone dalle macerie e non possiamo sopportare le immagini che arrivano ogni giorno da Gaza. Questo vale per la Palestina e per gli altri 54 conflitti del mondo”, continua Cergnar, che critica chi vorrebbe trasformare i pompieri in un corpo militare o di polizia. “Siamo soccorritori, operatori di pace”, afferma.
Intanto da Livorno arriva la notizia che il 29 settembre i portuali hanno impedito l’attracco di una portacontainer della compagnia israeliana Zim: per la prima volta è stata bloccata una nave che trasporta materiale non militare. Alla fine il cargo è attraccato e i portuali hanno dichiarato uno sciopero a oltranza.
A Roma oltre alla facoltà di lettere e scienze politiche della Sapienza, tre licei hanno proclamato l’occupazione: il Roberto Rossellini, il Cavour e il Socrate. Ma il timore degli attivisti è che, proprio come nel 2001, si crei una divisione tra i manifestanti, agitando il timore delle violenze e delle conseguenze legali di occupazioni e proteste.
L’associazione Antigone l’ha definito “il più grave attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana”.
Durante le manifestazioni di Milano il 22 settembre cinque persone sono state arrestate per gli scontri con le forze dell’ordine, tra cui due minorenni.
Gli attivisti temono tensioni al corteo del 4 ottobre e che le persone meno politicizzate si allontanino dalla piazza.
Il ministero dell’interno ha detto che tra i manifestanti potrebbero nascondersi frange violente e “infiltrati”.
Gli attivisti rispondono che leggi così severe producono illegalità e si arriva al paradosso di considerare violento anche chi fa lo sciopero della fame.
“È una questione che ci poniamo come attivisti”, spiega Beatrice Costantino, 32 anni, veterinaria e militante del gruppo ambientalista Ultima generazione. Da più di dieci giorni è in sciopero della fame insieme ad altre due ragazze per chiedere che il governo italiano riconosca il genocidio a Gaza e approvi sanzioni verso Israele.
“Siamo state raggiunte già da diversi decreti di allontanamento da Roma, siamo state portate al commissariato quattro volte”, racconta Costantino che per giorni si è seduta davanti al parlamento italiano con un cartello al collo. “Ci hanno accusate di manifestazione non autorizzata e ‘inadempimento agli obblighi di autorità’. Tutto questo per essere andate con cartelli e tisane davanti a Montecitorio.
Per me la non violenza è un conflitto creativo, come diceva Martin Luther King.
Le forme del dissenso possono cambiare nel tempo, ma è sicuro che non rimarremo a guardare”, conclude.