La mappatura consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che
contengono parole considerate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa – secondo 6 categorie: misoginia, antisemitismo, islamofobia, xenofobia, abilismo, omotransfobia– cercando
di rilevare il sentimento che anima le communities online, ritenute significative per la garanzia di anonimato che
spesso offrono e per l’interattività che garantiscono.
La MAPPA Nr. 8 si riferisce al periodo gennaio-novembre 2024. Un periodo di forti turbolenze, segnate
dalla guerra in Ucraina e a Gaza, dalle elezioni americane, dal prepotente insorgere di fenomeni populisti nel
mondo: un periodo dunque di incertezze e fragilità, che si sono riverberate nel vissuto quotidiano delle persone,
contribuendo a creare un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti.
Oggi l’odio online è
attore fondamentale nella rappresentazione della polarizzazione e i social si configurano come la cinghia di
trasmissione tra i mass media tradizionali, la politica e alcune sacche di forte malcontento, che trovano sfogo
ed espressione proprio nelle praterie dei social.
Da qualche anno si assiste a una verticalizzazione del fenomeno di odio online, per il quale la
diffusività iniziale ha lasciato il posto a un modello di dinamiche sociali sempre più incisive e polarizzate.
A
un allargamento delle possibilità di scelta delle piattaforme social, corrisponde una selettività maggiore di
messaggi di esclusione, intolleranza e discriminazione.
QUALCHE CONCLUSIONE E soprattutto, qualche prima evidenza emersa dall’analisi di quest’anno:
- C’è una costante nel tempo, ed è l’odio misogino. Cambia, si fa più intenso, ma le donne restano la
categoria più odiata. Anche, parrebbe, dalle stesse donne. A funzionare da detonatore, in questo caso, sono
i femminicidi (vedi correlazione con i picchi di odio) e le emergenze politiche.
Da evidenziare come lo hate
speech prenda di mira soprattutto il corpo delle donne, segnando quindi un’inversione rispetto all’ultima
rilevazione, quando a essere maggiormente colpita era la professionalità femminile.
Infine, c’è un tema
correlato al fenomeno dell’intersezionalità che, per quel che riguarda le donne, evidenzia la correlazione
donna- straniera. Qui saranno necessari ulteriori approfondimenti di ricerca per capire se le donne straniere
sono colpite in quanto migranti o in quanto soggetti particolarmente esposti (come le sportive).

- Antisemitismo. Il dato è forte, purtroppo non inaspettato. Cresce e si moltiplica l’antisemitismo, effetto e
coda lunga del post 7 ottobre e del conflitto israelo- palestinese. Importante sottolineare che l’odio qui si è
spostato dal classico antisemitismo al cosiddetto antisionismo. La categoria oggi più odiata non è l’ebreo
in quanto tale, ma in quanto sionista, percepito cioè come aggressore, invasore, genocida. Viene dunque
spontanea una riflessione: quanto di questo odio sia da attribuire alla percezione di un popolo che non viene
più considerato, come storicamente è stato, una vittima. Da rilevare, dunque, che si è di fronte a una sorta di
riformulazione dello stereotipo. E da evidenziare un altro dato purtroppo significativo: l’odio contro gli ebrei
è in assoluto quello più “carico”. Gli stereotipi negativi contro gli ebrei superano gli stessi discorsi d’odio
e, sommati allo hate speech “puro” (insulti, offese, etc), rappresentano l’80, 93% del totale dei contenuti
postati sugli ebrei.

- Avanzano xenofobia e islamofobia, a ricordarci che la società in cui viviamo è attraversata da forti
pulsioni di rigetto del cosiddetto “straniero”, portatore di storia, cultura, usanze diverse dalle nostre e
considerate perciò minacciose. - Ruolo degli stereotipi in correlazione con lo hate speech. Due dati da sottolineare. Il primo, l’enorme
incidenza dello stereotipo (se pur mutato, come abbiamo visto) sul totale dello hate speech antisemita. Ne
è, come mostrano i dati, la componente dominante. Al contrario, e forse inaspettatamente, per quel che
riguarda la misoginia, il ruolo degli stereotipi sul totale dello hate speech è marginale. Quasi a suggerire
che certi assetti culturali profondi, per quel che riguarda la formazione di odio (vedi cultura storica del
patriarcato) stiano cambiando e forse si stiano affievolendo: i “classici” stereotipi sull’inferiorità della donna
nella società sono meno presenti nel linguaggio social, più concentrato su insulti connessi al corpo e al look
delle donne, nonché su forme di odio misogino “puro”. Un odio misogino, che si configurerebbe dunque
maggiormente in quanto dinamica di potere che si esercita sull’altro: per annullarlo, sottometterlo, anche
distruggerlo, come purtroppo la correlazione tuttora evidente tra picchi di odio online e femminicidi parrebbe
dimostrare.
- Abilismo (discriminazione nei confronti dei disabili). Il 79,86% dei contenuti sui temi legati all’abilismo è contenuto di odio e venato di stereotipi
correlati con lo hate speech. Un dato inquietante, che conferma le analisi della scorsa rilevazione, quando
si fece evidente che eravamo, e siamo tuttora, in presenza di una vera distorsione lessicale: l’uso del
linguaggio offensivo contro le persone con disabilità si è andato via via allargando, ampliando sia il suo
utilizzo originario sia il suo significato, più ampio e meno specifico.
Dato il livello di complessità della ricerca attuale, molte sono le questioni rimaste aperte e le domande di ricerca
che abbiamo voluto sollevare e iniziare ad approfondire. Ma resta evidente che la Mappa dell’Intolleranza 8 è
solo un punto di partenza nel tentativo di circoscrivere, decrittare e interpretare un fenomeno che si fa sempre
più pervasivo, pericoloso, inquietante, capace di incidere nel tessuto sociale e di promuovere atteggiamenti
criminogeni in fasce di popolazione particolarmente esposte.

